perchè WINE PARTY...?!

lunedì 6 dicembre 2010

SQUATTRINATI! Quando chi fa politica parla di chiacchiere e non di reali esigenze

Millenovecento miliardi. In valore assoluto è il nostro debito pubblico. Pubblico, ovvero: mio tuo suo. Trentamila euro a cranio, il 120% del Pil. Solo di interessi paghiamo un’ottantina di miliardi l’anno – pari tipo a 6 manovre finanziarie. Che spreco! Ma fosse solo quello. Il fatto è che quel debito non ci costa solo una insostenibile valanga di denaro. Ci costa soprattutto la sovranità. Il voto mio tuo suo non vale più niente, amico. Mettiamo pure la X sul nome che più aggrada, tanto tra una spesuccia e l’altra, tra una riforma non fatta ed un’altra fatta al contrario (leggi: contro-riforma forense) ed un’altra ancora fatta senza soldi (leggi: Università), beh in questo cazzeggio irrazionale, i nostri designati al comando hanno dato le nostre teste in usufrutto a quei campioni di razionalità primordiale che sono i mercati.

Il politico è votato a far debito – deve pur essere rieletto. Più fa debito, però, più erode la sovranità democratica – che non è sua ma di chi vota – cedendone porzioni a quelle entità politicamente irresponsabili, ma democraticamente accessibili e sortibili, che sono i mercati. I tedeschi il debito l’hanno vietato in Costituzione. Il vincolo tecno-giuridico costituzionale è uno strumento a-politico, certo. Perché serve appunto per proteggere la democrazia dall’irresponsabilità, sul lungo periodo, della politica. Di che parliamo da un paio d’anni a questa parte? Non del fallimento del mercato, signori, ma di quello – plateale su scala euro-atlantica – della politica. Il debito è colpa di chi lo ha fatto, non dei capitalisti che ci hanno guadagnato – e che bene fanno a considerarci, noi irragionevoli spendaccioni, per quello che in fondo siamo: buffoni che non fanno neanche più ridere.
Veniamo a noi. L’Italia – si ricordava sù – ha un debito prossimo al 120% del suo asfittico Pil. Nel 1992, quando sottoscrivevamo Maastricht, era del 108.  Avevamo l’impegno a portarlo al 60 – come prevedeva appunto il Trattato. Lo abbiamo invece allegramente pasciuto di 12 punti 12, che sono qualcosa di cui chi in questi 18 anni 18 ci ha in un modo o nell’altro governato – e cioè ciascuno degli stessi che oggi alternativamente governano, stanno all’opposizione, coltivano l’idea del cambiamento – dovrebbe sentirsi in dovere di assumersi la responsabilità, a cospetto del popolo sovrano, e spiegarglielo che o si accendono le luci in sala e si interrompe il ‘sogno’, o sì che di quella vaneggiata sovranità non resterà che la raccapricciante farsa elettorale.
“Ci sono tre modi per ridurre l’indebitamento di un soggetto” – scrive Mario Seminerio su Phastidio : il rimborso del debito; le “perturbazioni inflazionistiche, che erodono il valore reale del debito medesimo”; oppure il “default.”
Non possiamo fare inflazione, preferiremmo non fare default. Non rimane che ripagare. Okkey, ma sarà difficile finché continueremo a spendere il 20% plus interessi in più di quello che produciamo. Occorre invertire la proporzione – aumentare il Pil che è il denominatore, e ridurre la spesa ed i relativi interessi, che è il numeratore.
Per ridurre lo stock di debito c’è chi, come Giuliano Amato, propone di far pagare ai contribuenti italiani 20 di quei 30.000 euro di debito a cranio – magari, sostiene l’ex premier, prendendo di più a quelli che hanno di più. Soluzione già praticata, nella sua raccapricciante semplicità. C’è poi chi, come il Pdl della campagna elettorale 2008 , sosteneva invece di vendere parte dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico. Era la mission number seven del programma elettorale, recentemente evocata da Benedetto Della Vedova in una assai equivocata trasmissione tv, in cui si sollecitava in verità Berlusconi a rammentarsene ché in tal caso Fli gli avrebbe cantato un’osanna.
Vender màs
è quello che fa Zapatero, l’Irlanda, la Gran Bretagna. Lo diciamo da un po’, qui su Libertiamo, che questa è la strada. L’altro giorno sul Foglio Enrico Cisnetto è andato persino oltre, rilanciando la proposta di Francesco Guarino: una public company per la mercatizzazione del patrimonio pubblico, che non sarebbe dimesso dal Tesoro ma da questi messo, appunto, sul mercato. Il nostro debito oversize subirebbe un rapido e sensibile dimagrimento. E questo sì che agli occhi dei mercati ci farebbe apparire come una ex brutta divenuta una gnocca niente male, alla quale quindi tornare a guardare con voluttuosa fiducia.
Perché i tedeschi questo lo hanno capito – e praticato in tempi non così drammaticamente obbliganti – e noi invece no? Chi è più fedele al rispetto della sovranità popolare, i tecno-rigoristi tedeschi o gli sciacalli della sovranità italiota altrui che sono coloro che in questi quasi cinque lustri di governo a facoltà illimitata non hanno fatto nulla per tappare la falla; si sono anzi, abbeverati a quella fontana debitoria cum magno sed improbo gaudio?
Mignotte & dittatori sono un problema italiano – ma soprattutto di un italiano, della sua dignità e di quella di chi ancora lo sostiene. Il debito invece riguarda tutti – e tutti equamente. Quindi anche di quell’uno che il 15 dicembre avrà le chiavi per ripartire.
La ragion d’essere della promessa berlusconiana era proprio la riduzione del peso dello Stato e del debito nella vita del Paese. La crisi politica del berlusconismo deriva da questo: non aver affrontato né tantomeno risolto quei nodi strutturali che chiunque si assuma d’ora innanzi la responsabilità di governare riceverà in eredità, lasciati praticamente intonsi da chi ha gvernato sin qui. Bene, sciogliere quei nodi, oggi, è l’obiettivo che Fli dichiara di voler conseguire. E questo vuol dire affrontare e risolvere strutturalmente la questione del debito. Serve però più che una maggioranza parlamentare per riuscire a vincere la madre di tutte le imprese: serve determinazione, consenso inter-istituzionale, senso della missione. Serve probabilmente quello che solo un governo tecnico, in questa fase, è capace di garantire.
Suona brutto, lo so. Si tratta di accettare il fatto che la formalizzazione della crisi politica apra la strada ad un ‘commissariamento’ pilotato della politica. Ora, potrà mai un governo dei saggi, dei capaci, degli autorevoli, dei politicamente irresponsabili fare in due anni quello che non è stato fatto in diciotto, dai democraticamente responsabili? E se così fosse, se costoro – i nomi di questo governo aristotelico in caso fateli voi – se loro riuscissero davvero a sanare i guasti della democrazia restituendoci la sovranità sul nostro patrimonio comune – ovvero rendendo sopportabile il fardello debitorio – ebbene cosa ne sarà della politica? Beh, è materia democraticamente sensibile – ne convengo. Ma qui torniamo all’assunto iniziale: siamo già in un regime di sovranità sostanzialmente condizionata. Dipendiamo dai mercati, dall’Fmi, dall’Europa. Istituzionalizzare, con il sostegno della super-imparzialità costituzionale del Capo dello Stato, i limiti della politica con un’iniziativa tecnica ‘alla tedesca’, che abbia – va da sé – il sostegno operoso delle forze politiche che hanno vinto le ultime elezioni, credo sarebbe in realtà il modo di salvarla la nostra democrazia, e con essa la nostra desiderata sovranità.
(LIBERTIAMO.it)

IACP e le Case Impopolari.......


IACP: un altro monumento allo spreco di denaro pubblico. Un esempio d'assurda burocrazia e, perchè no, della facilità con la quale amministratori, e politici di turno, si lasciano andare a promesse che non potranno essere mantenute.


Riteniamo che il "diritto alla Casa" sia un diritto inalienabile di ognuno, e che debba essere tutelato a livello istituzionale. In molte città il problema "Casa" non sta nella mancanza di immobili, ma nella volontà delle lobbies dei proprietari, che fanno lievitare i prezzi delle locazioni, tenendo sfitti un numero sempre maggiore di alloggi, impossessandosi spesso dei centri storici, oramai divenuti vetrina per turisti e salotto per la ricca borghesia, mentre le periferie diventano ghetti in cui si vorrebbero relegare le fasce popolari.

Il fronte Istituzioni dimostra ancora una volta la sua incapacità di rispondere al problema. Migliaia di alloggi realizzati dallo IACP versano in stato di abbandono, in condizioni pietose, alla mercè di ladri e vandalismo e mai assegnati. Graduatorie bloccate in danno ai legittimi aventi diritto da un lato, e centinaia di famiglie che abitano in appartamenti dell'Istituto Autonomo Case Popolari senza pagare alcun canone, in quanto non assegnatari. Un abuso legalizzato: la loro posizione infatti non è mai stata regolarizzata e gli abusivi risultano "custodi" dell'immobile, in base al criterio dell'emergenza abitativa.


Un danno economico per i Comuni, che non riesce a correggersi; danno al quale si aggiunge la beffa di dover pagare, con soldi pubblici, delle polizze assicurative a tutela di immobili che, in molti casi, cadono letteralmente a pezzi. Un buco economico enorme se si considera che negli immobili in questione nessuno paga la quota condominiale, risorsa individuata dalla Legge 35 per effettuare la manutenzione degli stessi immobili. La posizione irregolare degli abusivi non consente però di calcolare le quote da far pagare: il classico esempio del cane che si morde la coda! Conseguentemente le palazzine IACP rimangono abbandonate al loro destino. Impossibile pensare anche allo sfratto degli abitanti, non vigendo alcun contratto di locazione. Una questione annosa e mai affrontata.

Chi trae vantaggi da tale monumento al nulla assoluto?....Come sempre la politica.....!

La Sicilia: addirittura un'anomalia rispetto al resto d'Italia.


In Sicilia esistono dieci Istituti Autonomi per le Case Popolari, uno per provincia, ad eccezione di Catania, che vanta una seconda sede ad Acireale. Ogni IACP ha dieci consiglieri di amministrazione, tra cui un presidente ed un vicepresidente, tutti con status giuridico, indennità, diritto all'aspettativa e spese di missione. In tutto quindi cento Consiglieri di Amministrazione regolarmente retribuiti e spesati.


Il risultato è stato il rafforzamento di clientelismi, la moltiplicazione delle lotte per il potere e l'accaparramento di poltrone.

"L'Etica della responsabilità individuale", quella che Montesquieu indicava come il carattere specifico della Classe dirigente, è stata totalmente dimenticata. Nessun freno per i propri privilegi ed interessi personali. Non è certo una questione personale se in Italia è diventata una necessità fare una scrematura dei circa 34 mila enti e consorzi minori, ognuno con il rispettivo ordinamento, che, formalmente, si suddividono le competenze, ma che, di fatto, sono legittimate a restare inerti dinanzi ai problemi, obiettando "non è di nostra competenza" oppure "i disagi non dipendono da quest'Ente".


Enti solo "politicamente" strutturati, che bruciano risorse pubbliche per sopravvivere, lasciando il Paese allo sfascio!

martedì 30 novembre 2010

Non alimentiamo lo spreco!


"Se essere un bravo imprenditore non è una condizione sufficiente per fare del buon vino, non si capisce perchè essere un cattivo imprenditore dovrebbe essere una condizione necessaria."


Con buona pace di chi ne coltiva una visione un po' troppo romantica, il vino è uno straordinario tentativo di dare un senso alla vita _ ma è anche Politica.


Lo si capisce bene pensando all'attuale crisi dell'astigiano, terra d'elezione della Barbera, per cui il Ministro Galan ha concesso la distillazione di crisi per eliminare le scorte: le uve in eccedenza potranno così divenatre alcool.


La crisi economica ha colpito ancora: la domanda si è rattrappita, le esportazioni hanno lievemente ripreso slancio nel primo semestre 2010 (grazie in particolar modo al mercato americano ed al cambio favorevole ai nostri vini), le previsioni sono di nuovo incerte per fine anno. C'è poco da stupirsi: l'Italia ha meravigliosi produttori, ma la competizione globale è sempre più vasta, con interi territori che si sono aperti al culto di Bacco nel corso degli ultimi dieci/vent'anni, e che oggi riescono a realizzare produzioni d'eccellenza, pur mancandogli il blasone dei francesi. Parallelamente, la contrazione della domanda - anche questo è un copione già visto - colpisce soprattutto i produttori di fascia media e bassa. Sono le "cantine sociali sempre sull'orlo del fallimento" prese di mira da Angelo Gaja, in una lettera pubblicata da la Stampa, ripresa dal Corriere della Sera, ed accessibile su un sito benemerito e sempre puntuale, "i numeri del vino.it", curato da Marco Baccaglio.


Angelo Gaja è il più geniale imprenditore del vino che abbiamo in Italia, un innovatore autentico, che ha messo tanta qualità e tanta passione nel suo marchio, da farne il Ferragamo del vino piemontese. Il suo è un vino per cui conta nulla che sia "made in Italy": conta solo che sia "made in Gaja". Gaja ha una visibilità mondiale, ma conosce bene il mosaico di produttori locali che lavorano nelle colline piemontesi. La frammentazione del mercato è una caratteristica tipica dei Paesi europei; pensate che nel solo Bordeaux vi sono circa diecimila viticoltori, cioè due volte e mezzo il numero di imprese che fanno lo stesso lavoro negli Stati Uniti.


Sarebbe normale attendersi un forte consolidamento, che finora non si è visto, in parte per questioni di particolarismo e d'orgoglio, ma in parte per i sussidi a pioggia della politica agricola europea.


Nella sua lettera, Gaja spiega, con convinzione, che gli aiuti ai "piccoli" in crisi non sarebbero altro che un modo per devolvere denaro pubblico per "sostenere una causa persa". Le cantine sarebbero andate al traino della richiesta insensata di produrre, dal 2010, maggiore quantità, quando il mercato era già largamente inflazionato dalle eccedenze. L'indignazione per lo spreco di risorse statali, nota Gaja, è estemporaneo e sterile. Agli occasionali rimbrotti dei giornali, si oppone "un'armata, affamata e difficile da contrastare, di succhiatori organizzati di denaro pubblico".


La situazione attuale, oltre che alla frenata dell'economia, è debitrice ad una ristrutturazione della pac, fortemente voluta dall'ex Commissaria Mariann Fischel Boel. La politica agricola europea per anni si è mangiata metà del bilancio della Commissione. A fronte di numerose polemiche (per esempio gli effetti sui Paesi in via di sviluppo, in cui necessariamente il settore primario è magna pars dell'economia, della sovraproduzione sussidiata e delle esportazioni sottocosto), è stata recentemente più o meno messa sotto controllo.


Ce n'è ancora di strada da fare per smontare una macchina anacronistica come nessuna: ma qualcosa è stato fatto. In particolare si è usciti da una logica per cui il 70% dei sussidi ai produttori venivano destinati alla distruzione delle eccedenze, e si è, almeno in parte, liberalizzato il mercato (per quanto ancora in modo insufficiente), dando più flessibilità nella produzione e nel marketing del vino.


Apriti cielo! Queste norme - di per sè piuttosto timide - sono state accolte come un imprevisto anticipo del giorno del giudizio, biasimate pubblicamente dalle scimmie dattilografe più enologicamente forbite, contrastate in nome del falso dio della "genuinità" del prodotto.


Le cose da fare sarebbero note. La qualità dei vini, in tutto il mondo, è migliorata in modo eclatante negli ultimi vent'anni. I produttori del nostro paese sono troppi, e troppo litigiosi per essere forti sui mercati esteri; la mitologia del buon vineron prevede che egli non faccia marketing (come se promuovere ciò che si produce fosse una cosa cattiva); servirebbero un consolidamento ed un'aggregazione dell'offerta. Servirebbe, insomma, capire che non si rinuncia al romanticismo della vite e del terroir se si fa' impresa davvero.


Se essere un bravo imprenditore non è una condizione sufficiente per fare del buon vino, non si capisce perchè, essere un cattivo imprenditore dovrebbe essere una condizione necessaria.


Finchè la produzione di vino continuerà ad essere condizionata da un intervento tanto massiccio dello Stato, continueremo ad avere un mercato biforcato: da una parte, le imprese, che già ora competono sui mercati internazionali, che sono costrette all'efficienza dalla concorrenza che c'è, sulle tavole del mondo, tra Barbera e Pinot noit o fra Barolo e Cabernet Sauvignon. Dall'altra i succhiatori di denaro pubblico, schierati in parata a difesa del proprio orticello, sotto la bandiera del "made in Italy".


Se il nuovo Ministro dell'Agricoltura vorrà fare qualcosa di liberale e sensato per il vino italiano, le occasioni non gli mancheranno.





Alberto Mingardi

giovedì 25 novembre 2010

Le carceri italiane? Come banche svizzere!



"IL RISVOLTO DELLA MEDAGLIA"










Movimentano milioni di euro al mese, aprono e chiudono centinaia di conti correnti al giorno: non stiamo parlando degli istituti bancari, ma delle nostre carceri, che custodiscono ed amministrano un vero e proprio tesoro, quello dei detenuti.

Si tratta di cifre impressionanti (circa 16 milioni e 800 mila euro all'anno per il solo carcere di Poggioreale) provenienti in buona parte dai versamenti mensili fatti ai detenuti dai familiari e gestiti dalla Polizia Penitenziaria. Fin qui nulla da dire, se non fosse che a ben vedere il cosiddetto "sopravvitto", ovvero le spese extra dei detenuti, è inferiore solo di qualche euro a questo fiume di soldi in entrata.

Osservando la situazione del solo carcere di Poggioreale, ciò vuol dire che i detenuti spendono mediamente circa 700 mila euro al mese in bistecche, mozzarelle, pesce pregiato, sigarette, ma anche profumi e qualche giornale.

Che fine fanno i piatti preparati dall'Amministrazione penitenziaria?

Beh, vengono snobbati. Non si tratta di cibo scadente o di razioni insufficienti, ed anche la qualità è accettabile, ma i detenuti si rifiutano talvolta perfino di assaggiarlo. Si calcola che su 10 carrelli distribuiti nelle celle, la metà ritornino indietro ancora carichi. I detenuti amano cucinarsi da soli e si rifiutano di assaggiare i pasti.


Conseguenza?

Due terzi del cibo preparato e pagato dallo Stato (attingendo dalle tasche del cittadino indirettamente attraverso il gettito fiscale) viene buttato nella spazzatura, senza neppure essere toccato.


Avete ben capito: i soldi dei cittadini onesti vengono buttati nella spazzatura ad opera dei delinquenti chiusi nelle carceri. Ogni detenuto infatti può spendere circa 130 euro a settimana; massimale che può addirittura essere alzato, dietro autorizzazione del magistrato o del direttore dell'istituto penitenziario.


"ED IO PAGO........!"..................To be continued

mercoledì 24 novembre 2010

Corte dei Conti........soccorrici TU!

Poche cose fanno arrabbiare il cittadino più dello spreco di denaro pubblico: un danno alle finanze pubbliche è un danno a tutti i cittadini, che, in mancanza di un'azione efficace della Corte dei Conti, saranno poi costretti a porvi rimedio di tasca propria, pagando più tasse.


La Corte dei Conti viene in soccorso dei cittadini, essendo un organo di rilevanza costituzionale autonomo da altri poteri dello Stato, chiamato a vigilare sulla corretta gestione delle risorse pubbliche, sull'efficacia, regolarità e sull'efficienza dell'azione amministrativa.







Come fare a difendersi? Basta denunciare, tramite segnalazione (che rimarrà nell'assoluto riserbo) ogni spreco di denaro, anche se il danno erariale, oppure il mancato guadagno, è di pochi euro. E' infatti sulle piccole cifre che si consumano gli scempi più gravi. Non bisogna pensare soltanto alle grandi opere mai completate, le "cattedrali nel deserto", di cui è piena la nostra penisola; esistono infatti svariati settori di spreco, che passano silenti, senza che il cittadino abbia cognizione del danno compiuto a suo carico.

Solo a voler citare qualche esempio:

  • il Comune, la Rai, un Consorzio di bonifica..etc...intimano il pagamento di un importo non dovuto o anche già pagato. IL DANNO? costi di spedizione della lettera, tempo impiegato per redigerla (impiegati utilizzati in modo non congruo), carta, inchiostro...il tutto moltiplicato per il numero di cittadini a cui è inviata la lettera "errata";

  • dopo aver fatto ricorso ad un verbale di contarvvenzione il Giudice di Pace ci da' ragione. IL DANNO? per il cittadino spreco del nostro tempo in tribunale; per la P.A. mancato guadagno (per l'importo non dovuto del verbale), costo del tempo lavorativo mal impiegato dagli agenti che hanno elevato il verbale, spese di difesa in tribunale. Riassumendo, volendo parlare di cifre concrete, una multa di 36 euro (non dovuta) può arrivare a costare al cittadino più di 100 euro.

Ciascuno ha il potere di ribellarsi; per farlo occorre semplicemente impiegare qualche ora del proprio tempo per spedire una raccomandata di segnalazione, che, lo ricordiamo, dev'essere inoltrata alla Procura Regionale della Corte dei Conti della regione in cui hanno avuto luogo i fatti denunciati. Sul sito http://www.aduc.it/ si trovano tutti gli indirizzi.



PAGARE SI', MA SOLO IL DOVUTO E SOLO UNA VOLTA!



martedì 23 novembre 2010

"Il mondo delle Pari Opportunità"

"....perchè la nostra sia una società, in cui



i nastri di partenza per la corsa della vita



siano gli stessi per tutti............."



La Sicilia che vogliamo, c'è
http://www.youtube.com/watch?v=d-mV_HHRRB4

lunedì 22 novembre 2010

I politici italiani all'estero:Mission a sfondo "esotico".....



Ministri, Sindaci, Assessori, Consiglieri Regionali, Presidenti di Comunità Montane......: tutti alla ricerca di un viaggio all'estero.


Viaggi che costano cifre vertiginose e che gravano sulle casse pubbliche, riportando spesso, come risultato, un nulla di fatto, se non addirittura una flessione, in controtendenza con la crescita economica del Paese.


Ogni anno l'Italia spende circa 100 milioni di euro per le "vacanze istituzionali" dei nostri uomini politici. Mete di lusso ambitissime, come Shanghai, l'ultima frontiera di queste missioni, ma anche Miami, New York ed in ultimo Dubai, non poteva mancare!


I costi sono vertiginosi. Si va' dai 267 mila euro, spesi nel 2009 dalla Giunta Regionale Piemontese, ai 2,8 milioni di euro di quella ligure, negli anni 2006/2007.


Recordman delle missioni all'estero è Roberto Formigoni, ma il primato negativo tra le regioni spetta a Campania, Lazio e Sicilia, proprio quelle coi Bilanci più in rosso.


Nessun tetto, nè di spesa, nè di gente extra da portare in viaggio. Loro vanno, spendono, permanenze di molti giorni e "no limits". Quando tornano non sono obbligati a dare conto dei risultati raggiunti. La Magistratura si è spesso occupata anche di un altro aspetto, quello dei "viaggi falsi", ed in diverse occasione ha pure pizzicato qualche politico in viaggio di piacere con la propria compagna.....


La Sicilia spende qualcosa come 450 mila euro all'anno per i viaggi dei propri rappresentanti politici: gemellaggi, spedizioni per promuovere l'esportazione di prodotti tipici locali, il turismo, convegni, partecipazioni di massa al Columbus Day.....Non manca nulla all'immaginario, ed ovviamente tutto in 1^ Classe, non si bada a spese "Paga il cittadino"



domenica 21 novembre 2010

Il Ponte ......ci sta stretto - Parola di contribuente!



Tra Scilla e Cariddi una rivisitazione della biblica sfida tra il piccolo Davide ed il gigante Golia.

Uno scontro impari tra gli instancabili attivisti del NO PONTE da una parte, ed i potenti fautori della sua realizzazione dall'altra. La lotta di classe sulla "madre delle grandi opere".


http://www.youtube.com/watch?v=XMjzJnQUM9M&feature=related

Un progetto da 65 milioni di euro, affidato dalla società "stretto di Messina" al general contractor Eurolink, la cui data di inizio lavori rimane ancora incerta, dovendo prima ricevere l'approvazione, non del tutto scontata, da parte del Cipe.


La questione mafiosa legata alla realizzazione del Ponte, la stessa che, già nel 1985, ha fatto scoppiare la seconda guerra di mafia, è ormai passata sottotraccia. Senza voler entrare nel merito dell'assunzione di tale senso di responsabilità da parte della politica che detiene il potere, appare però opportuno, alla vigilia della realizzazione di un'opera tanto imponente, aprire una riflessione sulla sua reale opportunità.

Dati alla mano ..............sul dissesto idrogeologico del territorio, e sulle carenti condizioni delle infrastrutture esistenti, indurrebbero a ritenere più urgenti altro tipo di opere, quali quelle per la messa in sicurezza delle strutture già esistenti, a tutela di chi vive in determinate aree di degrado urbano ed ambientale, senza dimenticare che prioritaria appare la realizzazione della direttrice autostradale Palermo-Messina (oggi si deve passare da Catania). Solo nel messinese sono stati già chiesti finanziamenti pubblici per 219 milioni di euro, una spesa insostenibile in una città priva di servizi sociali e spazi verdi pubblici.


Il Ponte non rappresentava certamente l'illusione, per i neolaureati dell'area dello Stretto, di trovare stabile occupazione, ma gli stessi non avrebbero potuto immaginare che, con l'avvio dei lavori (solo preliminari), sarebbero stati scippati dell'unica infrastruttura creata, in ambito locale, a sostegno di attività imprenditoriali giovanili innovative: Il Polo Universitario messinese, convertito nella sede dei "Nuovi Uffici Direzionali del Ponte"


A rendere più amaro il sapore della beffa, l'evidenza che nessuna delle società di costruzioni che compongono l'ATI per i lavori del Ponte ha sedi o filiali nell'area dello Stretto, anzi, qualcuna è addirittura straniera, e fanno tutte capo a gruppi azionari di vecchia rilevanza nazionale (famiglie Benetton, Ligresti, Gavio).


Infine, dal punto di vista etico e morale appare intollerabile che a seguire i lavori sia la "Parson Transportation Group", stessa società che, contemporaneamente, aveva realizzato per il regime di Saddam Hussein il ponte "14 luglio" sul Tigri ed una mega centrale elettrica, ed aveva, per conto USA, provveduto allo sminamento ed alla distruzione di armi ed alrecupero delle maggiori reti petrolifere e gasdotti iracheni.


L'Affaire sintetizza il corollario del Ponte sullo Stretto: operazioni basate sulla sottrazione di spazi pubblici, sulla negazione di vere prospettive occupazionali alle giovani generazioni, in nome degli interessi dei privati e dei contractor più attivi nei teatri di guerra internazionali.


I vantaggi?

Per una vettura il risparmio di tempo è all'incirca di 30/45 minuti (tenendo conto del pedaggio). La ferrovia è la maggiore beneficiaria, perchè guadagnerebbe un'ora di tempo. Dunque il turismo non ne trarrebbe grande vantaggio, come anche il traffico merci: il risparmio di tempo è troppo esiguo per rappresentare una contropartita sufficiente alla rilevante differenza di costo tra i due pedaggi (ponte e traghetto).. Il costo del pedaggio è infatti uno dei talloni d'Achille di questo grandioso progetto!


Costi e ricavi

Nonostante si dica da tempo che il costo per la realizzazione del Ponte sullo Stretto ammonterebbe a 6/7 mila miliardi, è da ritenere che esso riguardi il solo manufatto. Non vorremmo che succedesse quello che è già avvenuto in molti altri casi: il privato, l'amministrazione locale o chi altri realizzano il solo manufatto centrale, il Ponte (a spese del contribuente), lasciando alla collettività la cura di inserirlo nel contesto dell'intera struttura (vie d'accesso etc...). Come spesso accade, infatti, gli stanziamenti per il corollario non sono stati previsti, e così sono sorti degli scheletri fatiscenti, autentici sprechi , di cui l'Italia è piena, specie il Sud e la Sicilia.

Le previsioni di un costo globale di 12-15 mila miliardi sono tali che nessun privato accetterebbe di accollarsi la realizzazione: i tempi di ammortamento sarebbero troppo lunghi e pertanto non appetibili; nè si può pensare a tariffe troppo elevate, altrimenti ritornerebbe a prevalere l'utilizzo dei traghetti, molto meno cari, e che, tra le altre cose, va detto, rimarrebbero comunque in funzione, in alternativa all'utilizzo del Ponte.


Sul costo incide anche l'onere finanziario: si può calcolare in 700 e più miliardi l'anno il costo dei finanziamenti necessari, cioè 2 miliardi al giorno di interessi. Ad esso vanno aggiunti gli oneri per le manutenzioni, il personale, le imposte...Il tutto si traduce in un costo di 5-6 volte più oneroso di quello odierno giornaliero per l'attuale attraversamento dello Stretto. Considerato poi che nei giorni particolarmente ventosi, e per consentire la regolare manutenzione, il Ponte andrebbe chiuso per circa 60 gg. all'anno, ai costi prima citati, andrebbero sommati quelli per prevedere il mantenimento dei due sistemi (Ponte e Traghetti), con sensibili aggravi di costi.


IL BENE COMUNE ANCORA UNA VOLTA VIENE CALPESTATO, PER LASCIARE SPAZIO A CHI TRAE PROFITTI SENZA RISCHIARE NULLA




"Questo Bel Paese, pieno di poesia, ha tante pretese

ma nel nostro mondo occidentale è la periferia...

E' anche troppo chiaro agli occhi della gente che è tutto calcolato

e non funziona niente.

Sarà che gli italiani, per lunga tradizione,

sono troppo appassionati di ogni discussione.

Persino in Parlamento c'è un'aria incandescente

SI SCANNANO SU TUTTO E POI NON CAMBIA NIENTE" - Giorgio GABER

venerdì 19 novembre 2010

I concorsi inutili: 100 mila vincitori senza posto, 3 miliardi di euro annui sperperati per le Commissioni esaminatrici

In Italia oltre centomila persone hanno vinto un concorso e festeggiato un'assunzione mai arrivata. L'ultima Finanziaria ha bloccato fino al 2013 le assunzioni. La fabbrica delle illusioni continua però ad operare imperterrita.
Perchè? Quanto costa alla collettività questa macchina infernale? questo continuo promuovere concorsi che non creano alcuna occupazione?

Nel corso del 2010 sono stati banditi dalle amministrazioni pubbliche oltre 7 mila concorsi, con il Ministro Brunetta che addirittura stima in 300 mila gli esuberi nel comparto pubblico, e minaccia altri blocchi alle assunzioni.
Si calcola un giro d'affari pari a 3 miliardi di euro all'anno. Ma chi ci guadagna? Chi mette in tasca questo flusso di denaro pubblico speso inutilmente dalla P.A.?
In alcuni casi addirittura l'amministrazione da una parte stabilisce che un ente debba scomparire, e dall'altra approva un concorso per nuove assunzioni, che poi rimarranno solo sulla carta, avendo già stabilito di ridurre la pianta organica.

A fronte dei concorsi con vincitori non assunti, non mancano i casi di assunzioni, ed incarichi, affidati per compiti uguali a quelli messi a bando dalla P.A. Un esempio per tutti il concorso ai Beni Culturali della Regione Sicilia: 300 vincitori, in attesa di una raccomandata che li integri sul posto di lavoro; nel frattempo viene creata la "Beni Culturali SpA", società (formalmente privata), che ha assunto, per chiamata diretta, 700 persone. Altre volte accade, invece, che la stessa P.A. freni su alcuni concorsi ed accelleri su altri, magari perchè tra i vincitori ci sono parenti di politici e dirigenti dell'ente.
Intanto il cittadino sconta la pena di tale sperpero di denaro pubblico.
Basti pensare che l'Agenzia delle Entrate ha calcolato, per un concorso bandito recentemente, il costo di 1.500 euro per ognuno dei 500 posti messi a gara: totale 750 mila euro!
Soldoni spillati al cittadino ignaro, che servono a coprire i compensi per i commissari esaminatori.
Cifre vergognose.....si discute di compensi per singolo esaminatore pari a 7.500 euro per un solo concorso, un affronto commesso dalla P.A. verso quanti, a partire dagli insegnanti, dipendenti dello Stato, devono lavorare diversi mesi dell'anno per sommare una simile cifra.
L'Italia delle contraddizioni, della Vergogna!

Obiettivo "ZERO ENERGIA" nel 2021

Si calcola che in Italia quattro edifici su cinque siano inefficienti dal punto di vista energetico. Ben oltre 23 milioni di costruzioni, il cui recupero potrebbe costituire una spinta importante per l'economia italiana.

In tutta Europa si stima che ogni anno si buttano dalla finestra 270.000 miliardi di euro per inefficienze negli edifici (fonte: Eurisma). In Italia gli 11 miliardi di euro generati dalla detrazione del 55% (grazie alla quale in 4 anni sono stati recuperati 800.000 alloggi) hanno creato 55.000 posti di lavoro.


La domanda è: "Quanti posti di lavoro si potrebbero generare se questi 270.000 miliardi venissero riconvertiti in ristrutturazioni, anzichè bruciarli?"


Si consideri infatti che in base alla Direttiva UE 31/2010, a partire dal 2021 gli edifici privati dovranno essere ad energia quasi zero. Esiste tuttavia un deficit normativo, che consiste proprio nel dare eccessiva, se non esclusiva importanza, ai nuovi edifici, senza valutare sufficientemente le esigenze di rinnovamento degli edifici esistenti, che rappresentano il 40% dei consumi di energia in Europa.

mercoledì 17 novembre 2010

ITALIA in attesa di giudizio.....ed il cittadino PAGA!

La posizione occupata dalle carceri italiane , su una scala internazionale di carceri europee e mondiali, è di palese retroguardia nella civiltà e nella garanzia della giusta pena.
I numeri parlano da soli, segnando un record assolutamente negativo per il nostro Paese: complessivamente i detenuti sono 68.527, mentre i posti letto regolamentari sono solo 44.612.
Un dato relativo ai 206 istituti penitenziari italiani, dove, ricordiamo il 43,7% dei detenuti è ancora senza condanna e ben 15.223 persone restano in attesa del primo giudizio (Fonte: Associazione Antigone). Numeri di tale entità non si erano mai registrati dal dopoguerra ad oggi.

Una situazione intollerabile, che tutti i leader ed i vertici politici dovrebbero attenzionare, cercando di porvi una qualche risoluzione, ponendola come pietra miliare per il futuro civile dell'Italia penitenziaria.

Secondo il sindacato di Polizia Penitenziaria le strutture detentive italiane si sono ridotte a meri depositi di vite umane; un quadro deprimente......istituti strutturalmente inadeguati ai nuovi standard penitenziari; celle in molti casi prive di docce, in altri casi il bagno non va oltre un lavandino ed un bidet da dividere in tanti. Edifici di vecchia costruzione, che assorbono molte risorse, ma non si prestano ad interventi di modifica strutturale.

Assistenza sanitaria in molti casi pregiudicata dalle stesse Asl, per la loro seria difficoltà ad assumere la responsabilità sulla sanità penitenziaria, con la conseguenza che, assai sovente, vengono negati o ritardati con termini inaccettabili, anche gli esami clinici più semplici. Tutto ciò mette a repentaglio la salute dei detenuti, dei quali, si fa presente, quasi la metà è costituita da tossicodipendenti o appartenenti all'eterogenea area dei consumi di sostanze stupefacenti, molto spesso anche non diagnosticati. Proprio il fatto di sottostimare il fenomeno tossicodipendenza, porta ad ipotizzare che, durante tutto il corso dell'anno, ci sia un numero di ingressi di tossicodipendenti pari a circa 50 mila persone: dato, quest'ultimo, stimato dagli operatori sanitari e non dalle statistiche ufficiali.

A ciò bisogna sommare la carenza di personale civile (educatori, psicologi, mediatori) e la carenza di organico lamentata dai sindacati del corpo di polizia penitenziaria, che conta circa 43.000 dipendenti.

Arretratezza e degrado, che attribuiscono all'Italia un altro tristre primato, quello delle morti in carcere per suicidio, da parte dei detenuti, ma anche delle guardie.

Un rapporto sullla VITA VIOLATA, quello che ne emerge.

Sul fronte dei costi poi, 113 euro è il costo medio giornaliero di un detenuto, e 7,36 il costo medio giornaliero per il suo mantenimento (pasti, igiene e trattamento rieducativo)., per un totale di 120,36. Un dato sconvolgente se lo si rapporta agli attuali 23.915 circa detenuti in esubero, che grava sullo Stato ed indirettamente attinge dalle tasche dei cittadini attraverso continue tassazioni.

Ma non finisce qui. Oltre il danno, la beffa!

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha già condannato l'Italia a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella, in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia.

Poichè in Italia i detenuti che vivono in condizioni di sovraffollamento sono la quasi totalità, lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi.


Tale considerazione impone alla politica la ricerca di una soluzione e mette definitivamente fuori legge l'attuale gestione del sistema penitenziario.

martedì 16 novembre 2010

"Il Signoraggio ed il potere occulto"



Il Signoraggio è il potere di chi crea moneta. Potere assai maggiore di chi la moneta la detiene di suo, in qualunque ammontare ed origine.



Si usa dire che "il più grande inganno del diavolo sia stato far credere all'umanità che non esista", ed è proprio grazie a questa diabolica tecnica che il signoraggio è padrone del mondo, ma in maniera trasparente per tutti noi.

Creare ciò che non si ha, a spese altrui. Un potere divino, chi non lo vorrebbe?!

Un potere che corrompe. Un potere da abbattere adesso, che non lo si ha. Si dice che chi ha il potere ne divenga inevitabilmente schiavo, vittima e boia al contempo. Politici all'ultimo mandato (leggasi "ultima spiaggia"), estremisti, di destra e di sinistra, senza distinguo alcuna, giocatori di borsa falliti, servi del potere in attesa di un "posto fisso"al paesello, egocentriche primedonne ormai defenestrate dal potere, dopo anni di connivenza cordiale e grandi goliardate. Eccola, è questa oggi in Italia l'orda Anti-sistema.

La Moneta ed il suo potere occulto

La moneta possiede due valori: il primo, intrinseco, dato dall'insieme dei costi necessari a produrla (materia prima, manodopera...); il secondo, nominale (o, per l'appunto DI FACCIATA, o anche LEGALE). La differenza tra questi due valori è detta "signoraggio", ossia il guadagno che detiene chi ha creato quella moneta.

Anticamente "il signore" che coniava le monete imprimeva loro un valore nominale più alto, per poterci guadagnare e permettersi così "un aggio" economico notevole.
Il "signore moderno", ad esempio la BCE in Europa o la Federal Reserve negli USA, ha un potere enorme. Chi ha ben compreso il meccanismo del signoraggio, ora avrà anche compreso che eliminare la banconota sarebbe un'azione peggiorativa, in quanto sparirebbe il costo per le Banche, le quali si vedrebbero portare al 100% il signoraggio sulla moneta elettronica.


Per ovviare a tutto ciò, basterebbe che lo Stato Sovrano emettesse moneta senza debito, come fa, ad esempio, con le monete metalliche. Dal momento che la banconota non ha un corrispettivo in oro (le banconote sono convertibili in dollari USA, ma dal 1971 il Dollaro USA non è più convertibile in oro), non c'è ragione che ad emetterla sia un'entità privata, tantomeno che essa abbia monopolio sulla produzione. Si eviterebbero le spese per servire questo prestito (interesse) e lo Stato, vale a dire tutti i cittadini, tutti NOI, avrebbe la reale autonomia di gestione del Paese.



"Perchè la politica, il politico, non si adopera perchè ciò avvenga?


E' evidente che la politica ed il politico di turno NON VUOLE E NON PUO', perchè sottomesso alle lobbies di potere dei banchieri privati internazionali. E' pur vero che solo politicamente si potra' invertire la rotta, ma per fare ciò occorre la CONSAPEVOLEZZA; una popolazione informata, cosciente e motivata ad operare un radicale cambiamento nella scena politica.


http://www.youtube.com/watch?v=BviCNfwMXqU

lunedì 15 novembre 2010

Proprio da Marsala con WINE PARTY vuole ripartire l'unità di un Italia nata sotto auspici di ottimizzazione delle risorse e delle qualità locali, evidenziando le peculiarità ed evitando un accentramento elefantiaco, sprecone incapace di agire velocemente ed efficacemente su un territorio vasto,lungo e distante come l'ITALIA.
Il sogno di Cavour..?! un Italia davvero federale ed amministrata scientemente non sta Palude..

Quando Cavour sognava il federalismo

Il Conte non voleva un’Italia fondata sul modello piemontese. Ma la classe politica respinse ogni idea di decentramento

di Eugenio Di Rienzo
Una vecchia leggenda risorgimentale narra che Cavour, poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 6 giugno 1861, affermò di poter morire sereno, avendo ormai creato l’Italia. Personalmente, penso che gli ultimi momenti della sua vita siano stati connotati da minore soddisfazione. Solo pochi mesi prima, infatti, era stato respinto il disegno di legge Minghetti, che prevedeva un riordino amministrativo ispirato ad un ampio decentramento e che intendeva contrastare quella che proprio Cavour aveva definito la «tirannia centralizzatrice». Con il fallimento di quella riforma, in grado di conciliare le esigenze del nuovo Stato con le esperienze, le tradizioni, gli interessi dei governi pre-unitari, il nostro paese avrebbe rinunciato, fino ai nostri giorni, ad un’architettura istituzionale che poteva meglio garantire, insieme all’unità, la crescita di tutte le sue componenti territoriali senza eternare antichi contrasti e creare nuovi squilibri.
Il problema delle autonomie locali non era, infatti, allora come oggi, solo un problema di organizzazione amministrativa ma costituiva soprattutto un problema che riguardava la corretta distribuzione del potere tra la classe politica nazionale e le classi politiche locali e il rafforzamento dei diritti economici, civili, sociali di una nazione. Sarebbe, quindi, difficile negare che l’idea di un decentramento amministrativo su base regionale, o se si vuole di un vero e proprio federalismo amministrativo, potesse rimanere estranea alla tradizione del pensiero risorgimentale. Persino Mazzini nel 1861 sostenne l’esigenza di «riconoscere la Regione quale ente intermedio fra la Nazione e il Comune», precisando che «l’unità non doveva identificarsi necessariamente con l’accentramento». Anche l’apostolo della Giovane Italia, infatti, si rendeva conto che lo Stato unitario si sarebbe dovuto convenientemente strutturare «con un interno moto centrifugo dal centro alla periferia». Mazzini non voleva affatto uno Stato rigidamente accentrato ma sosteneva l’opportunità di conciliare l’unità politico-costituzionale con «una ben intesa autonomia e autarchia delle province e magari delle regioni, per tutto quanto riguardava l’attività legislativa, esecutiva e amministrativa avente ad oggetto materie di interesse locale».
D’altro canto, l’ipotesi di un federalismo amministrativo era fortemente connaturata non soltanto al patrimonio ideale democratico ma apparteneva di diritto al codice genetico della cultura liberale. Il federalismo che si era andato sperimentando e affermando negli Stati Uniti assunse grande valore per il liberalismo europeo dell’Ottocento, per la sua capacità di tutelare ampie sfere di libertà civiche connaturate al principio del self-government. Neppure Cavour, che fino a tutto il 1859 aveva respinto la formazione di uno Stato italiano unificato considerandola una semplice «utopia politica», dimostrò di voler restare estraneo a queste considerazioni, quando, il 2 ottobre 1860, respinse sdegnosamente la qualifica di «accentratore» per connotare il suo programma politico.
Da questo punto di vista è possibile dire, rovesciando il senso di una famosa frase di Massimo d’Azeglio, che se Cavour «aveva fatto gli Italiani», dopo aver individuato nel centro moderato la componente egemonica della futura nazione, il più grave problema da affrontare restava per lui quello di «fare l’Italia» e cioè quello di creare un modello di Stato, capace di unire e non semplicemente di unificare popolazioni divise da realtà storiche, politiche, culturali, produttive. L’Italia sarebbe stata una «corbelleria», aveva sostenuto Cavour, senza realizzare questa unione dal basso e se ad essa si fosse voluto dare corpo sovrapponendo al tessuto policentrico della Penisola le normative statali piemontesi o procedendo ad una centralizzazione autoritaria di tipo bonapartista.
Dopo la scomparsa di Cavour, la classe dirigente italiana preferì invece arroccarsi alla pressoché totale unanimità, senza apprezzabili distinzioni tra Destra e Sinistra, nella difesa del modello centralista. Nel 1881, tuttavia, Marco Minghetti, in uno dei più lucidi manifesti del pensiero liberale prodotto nel nostro paese (I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione) aveva ripreso la battaglia, conclusasi sfortunatamente un ventennio prima, concentrandosi ora sull’obiettivo di realizzare una sorta di federalismo finanziario. Grazie a questa riforma, pur rimanendo sempre al governo centrale «l’indirizzo generale politico interno ed esterno», alle future aree macroregionali doveva essere assegnata «la gestione della gran parte del bilancio della spesa pubblica». Sebbene apparentemente limitata, tale innovazione poteva dar vita a Regioni «economicamente responsabili» per quello che riguardava l’utilizzazione delle risorse pubbliche. Una volta creata la Regione, auspicata da Minghetti, questa avrebbe costituito il punto di coagulo di interessi di rilevante estensione, per rafforzare la capacità dei vari territori italiani di rivendicare una precisa funzione di autodecisione rispetto al governo centrale. Le stesse dimensioni geografiche della Regione dovevano inoltre conferire vigore a tutto l’ordinamento territoriale, aprendogli sbocchi in direzione di una forte evoluzione autonomistica. Nella soluzione proposta da Minghetti ritornava l’ipotesi del federalismo amministrativo voluto da Cavour, in grado di rafforzare, e non certo di indebolire, l’unità statale, innescando un circolo virtuoso di collaborazione tra centro e territorio.

domenica 14 novembre 2010

L'Italia ed i precari di Stato!




L'AUSTERITY E' SOLO PER IL POPOLO......i parlamentari italiani rimangono tra i più pagati in assoluto in Europa. Si calcola per il 2009 uno stipendio medio mensile di 20.600 Euro, senza considerare i rimborsi spese e per gli assistenti....fino a raggiungere cifre doppiate o ancora maggiori.

"L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro"..........."precario"


L'art.1 di ogni Costituzione è un po' il suo slogan. Racchiude o dovrebbe racchiudere tutto lo spirito e tutti gli ideali, tutte le speranze e tutte le aspettative di un popolo.


Questo concetto, sì nobile, è in realtà molto debole; esso non afferma altro che una vana speranza, e non obbliga lo Stato a dare lavoro a tutti.


Nel Paese dei balocchi, la nostra cara Italia, vive un esercito di professionisti "precari" e di precari "professionisti".....intere generazioni da "1000 Euro" e/o in fuga dai call center. Lavoratori lesi nella loro dignità, assunti sotto l'onta di un destino da eterni "collaboratori" relativamente utili, a soli fini di propaganda elettorale. L'Italia delle cooperative sociali, dei Lavoratori Socialmente Utili, dei Lavoratori di Pubblica Utilità, dei Contrattisti, dei Collaboratori a progetto.........dei disillusi........L'Italia della partitocrazia, che ha preso il posto della meritocrazia, dove i concorsi pubblici sono illusione, e dove conta chi emerge, non sulla base delle capacità personali, ma del peso politico di chi ne caldeccia l'assunzione.


L'Italia del "contentino", dei "Precari e contenti"!!!

L'Italia dei nuovi eroi, quelli che vivono una vita a metà, che non possono permettersi di creare una famiglia, di avere dei figli, di acquistare casa, di andare in ferie.


L'Italia in cui non è concesso il lusso di vivere, ma non si può neanche morire.............

http://www.youtube.com/watch?v=RDdWu1zy3zw

sabato 13 novembre 2010

Se colui che ruba è vestito male, si chiama ladro; se è vestito bene, si chiama STATO!
Questa è l’amara verità – di cui nessun giornale parla – ed è quanto emerge dalla ricostruzione della Corte dei Conti sui rimborsi elettorali introdotti dai politici dopo il referendum del 1993 che aveva abrogato il finanziamento pubblico ai partiti. In realtà questi rimborsi, afferma la Corte dei Conti, sono di gran lunga superiori alle spese effettivamente sostenute e sono un vero e proprio finanziamento. I record spettano a Rifondazione Comunista e alla Lega Nord mentre Pdl e Pd intascano da soli più del doppio del gettito dell’imposta sul gioco del Totocalcio e dell’Enalotto.
Grazie poi ad un colpo di mano che nel 2006 ha cambiato una parola della legge, il rimborso viene incassato anche se...

La strategia della distrazione

La politica è la "strategia della distrazione" più ampiamente diffusa: nel corso dei decenni, ne ha applicato, e perfezionato, il decalogo elaborato dal Prof. statunitense Noam Chomsky, a danno dei cittadini.












Ottenere il controllo sociale attraverso la strategia della distrazione consiste nel "deviare l'attenzione del pubblico (i cittadini) dai problemi importanti, e dai cambiamenti decisi dalle elìtes di potere, politiche ed economiche, attraverso l'impiego di continue distrazioni e di informazioni insignificanti".


Come? Ad es. lasciando che dilaghi la violenza urbana, con lo scopo che sia il pubblico (il cittadino) a richiedere leggi sulla sicurezza e politiche a discapito della libertà - CREARE PROBLEMI E POI OFFRIRE LE SOLUZIONI


Precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantiscono redditi dignitosi - LA STRATEGIA DELLA GRADUALITA', ovvero far accettare una misura inaccettabile, applicandola a contagocce, per anni consecutivi........CO.CO.CO., CO.CO.PRO, LSU, LPU...e quant'altro........


Presentare una decisione come dolorosa e necessaria. Così la massa accetterà tante decisioni impopolari, con la speranza che domani le cose andranno meglio. - LA STRATEGIA DEL DIFFERIRE....Chi si accontenta gode???


Usare "armi silenziose per guerre tranquille", ovvero rivolgersi alla massa con un tono quasi infantile, cercare di suggestionarla, in modo da azzerarne il senso critico- RIVOLGERSI AL PUBBLICO COME AI BAMBINI

Impiantare nell'inconscio desideri, timori, idee ed indurre comportamenti fondati sull'emozione, piuttosto che sul ragionamento - USARE L'ASPETTO EMOTIVO, PIU' DELLA RIFLESSIONE


Mantenere più alto possibile il divario culturale tra le classi sociali, in modo da poterle manipolare, spingendo la massa a ritenere che sia di moda essere stupidi, ignoranti.....- STIMOLARE UN ATTEGGIAMENTO DI COMPIACENZA VERSO LA MEDIOCRITA'


Inibire l'individuo, scoraggiandolo all'azione (e senza azione non c'è rivoluzione!), semplicemente inducendolo a credere che sia lui stesso colpevole della sua disgrazia, e non il sistema politico ed economico in cui è costretto a vivere dalle elìtes. - RAFFORZARE L'AUTOCONSAPEVOLEZZA

Esercitare sui cittaini un controllo maggiore di quello che gli stessi esercitano su se stessi, attraverso uno studio della personalità e dei comportamenti più comuni - CONOSCERE GLI INDIVIDUI MEGLIO DI QUANTO ESSI CONOSCANO SE STESSI.....come per la pubblicità....facendo ritenere indispensabile beni superflui e distrando l'attenzione da beni che compongono il paniere essenziale



WINE PARTY dice NO a chi esercita la "Strategia della distrazione" per accaparrarsi consenso elettorale, dimenticando le esigenze reali dei cittadini; a chi dice ai nostri figli "Le faremo sapere, valuteremo il suo curriculum vitae..." sapendo che le scelte della politica non tengono conto della meritocrazia; a chi c'impone di sottostare a regole e salari inaccettabili, sotto la minaccia che potremmo perdere il posto di lavoro, perchè molti altri, nei nostri panni e costretti dal bisogno, si accontenterebbero; a chi considera le donne in politica una risorsa di secondo livello ed invita ad entrare nelle "grazie" del politico di turno passando prima dalle camere da letto; a chi lede la nostra dignità e ci priva di qualsiasi stimolo a migliorare, a cambiare........


Quello che nessuno mai saprà perchè nessuno mai lo dirà


























I partiti cambiano nome...............



Il finanziamento pubblico ANCHE: ora si chiama "rimborso elettorale"

Le mani della partitocrazia frugano nelle tasche dei cittadini da oltre 30 anni.


Nel 1974, con l'approvazione di tutti i partiti, eccetto i Liberali, entra in vigore la L.n.195, la prima ad istituzionalizzare, a carico dello Stato, il sostentamento delle strutture dei partiti, piuttosto che il sostegno all'iniziativa politica. Tale legge riconosceva i contributi ai partiti rappresentati in Parlamento, penalizzando quindi le nuove formazioni politiche.



Nel giugno del 1978 si svolge il referendum abrogativo della Legge n.195/'74. Il referendum non passa (ma i voti favorevoli ammontano ad una percentuale altissima , il 43.6%).
I promotori sostenevano che lo Stato dovesse favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario a "fare politica", NON PER GARANTIRE le strutture stesse dei partiti: queste avrebbero dovuto essere finanziate da iscritti e simpatizzanti.


Nel 1981 una prima svolta, ma solo "di facciata"...Con la L.659 si vieta ai partiti la possibilità di ricevere finanziamenti dalla P.A., da enti pubblici o a partecipazione pubblica.

Il finanziamento pubblico ai partiti viene abolito nel 1993.

Nel 1999 viene emanata la legge che detta norme in materia di "Rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie"

Vengono istituiti 4 fondi: uno per la camera dei Deputati, uno per il Senato della Repubblica, uno per le elezioni al Parlamento Europeo, uno per le elezioni regionali. Il fondo si costituisce in occasione delle consultazioni elettorali e si eroga in rate annuali. In caso di scioglimento anticipato della legislatura si interrompe l'erogazione.

Fatta la legge, trovato l'inganno

A poche settimane dal voto delle Politiche 2006 il "blitz": con la Legge n.51 si stabilisce che l'erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva.

UN AUMENTO ESPONENZIALE: "Se dal 2006 al 2010 ogni anno ci si è dovuti sobbarcare la spesa di quasi 100 milioni di euro per finanziare le strutture politiche rappresentate nella XV legislatura, dal 2008 al 2012 si dovranno pagare 100.618.876,18 euro l'anno per i rimborsi elettorali della tornata politica che ha dato vita alla XVI legislatura. A queste cifre spaventose dovranno sommarsi i rimborsi, sempre milionari, dovuti per le consultazioni elettorali regionali ed europee."

Dall'inizio del "governo Berlusconi", solo per i rimborsi elettorali delle politiche, sono stati spesi 600 milioni di euro.



Una vera e propria caccia al tesoro scatenata dai partiti per mettere le mani sul tesoretto pubblico dei rimborsi.


L'ennesima strage di legalità e di diritto, tutta italiana: i cittadini continuano a pagare per qualcosa che non vogliono!


http://www.youtube.com/watch?v=JkhX5W7JoWI

Monzemolo fa il trenino.. e gli italiani ci mettono i soldoni

ITALO E' IL TRENINO DI DELLA VALLE E MONTEZEMOLO.

E' un treno che dovrà iniziare a girare sulle TRATTE PIU' RICCHE IN ITALIA a partire da fine 2011.

VEDIAMO PERCHE' E' UNA VERA E PROPRIA INGIUSTIZIA:

innanzitutto:

1)In Italia LA RETE FERROVIARIA è in mano allo stato.

2)Le ferrovie soffrono da sempre di bilanci non certo rosei, ma svolgono anche un servizio sociale.

3)le ferrovie sono la somma di due componenti: LA RETE FERROVIARIA E I TRENI.
le due cose sono difficilmente separabili, vediamo perchè!!!

La rete è pubblica ed è costata da sempre SALASSI enormi ai cittadini italiani, sia nel momento della costruzione dell'infrastruttura, sia per il mantenimento!!!

NON PER ULTIMA L'ALTA VELOCITA' . Per permettere l'alta velocità fra Milano e ROMA si sono spese quantità di soldi indicibili (cifre enormi rispetto a quello speso in altri paesi).

Questi soldi sono stati spesi dalle Ferrovie che possono recuperare soldi SOLO CON I BIGLIETTI DEI TRENI CHE VENGONO ACQUISTATI DAI CITTADINI.

Ma se interviene un terzo operatore che vuole far viaggiare i treni suoi sulla rete nazionale...ECCO CHE SORGE UN PROBLEMA ENORME

Questo soggetto vorrebbe fare profitti AI DANNI DEL GESTORE DELLA RETE CHE E' CONTEMPORANEAMENTE GESTORE DEI TRENI DELLO STATO e che ha già bilanci in perdita.

SE UN PRIVATO RIESCE A FARE PROFITTI ...VUOL DIRE CHE LO STATO DEVE RINUNCIARE A DELLE ENTRATE, E CHE BEN PRESto IL COSTO DEI BIGLIETTI VERRA' AUMENTATO A DANNO DEI CONSUMATORI (come è successo mille volte....con il paradosso del servizio 12, quasi gratuito e utile, sostituito del 1288 e simili che sono servizi estremamente cari, a tutto danno della comunità)

Sia che si attui la separazione della rete dai treni che si opti per il mantenimento di un unico gestore COMPITO DELLO STATO DOVREBBE ESSERE IN PRIMIS LA DIFESA DEI DIRITTI DEI CITTADINI E QUINDI DEI CONSUMATORI

OVVERO
1)CHE LA RETE FERROVIARIA DEBBA AVERE UN RITORNO ECONOMICO CERTO (vedi Terna), E CHE LA PROPRIETA' DELLA RETE NON FINISCA IN MANO AI MERCATI AZIONARI MA SIA AL 100% PUBBLICA.

2) CHE I SOGGETTI PRIVATI E NON CHE DECIDONO DI UTILIZZARE LA RETE FERROVIARIA NAZIONALE GARANTISCANO CHE IL PREZZO DEL BIGLIETTO NON SIA SOGGETTO A RIALZI RISPETTO AI PREZZI ATTUALI, E CHE LA REVISIONE SEGUA LOGICHE non uguali a quelle usate per le Autostrade (che sono anticoncorrenziali e penalizzanti per i cittadini)

3)CHE LA RETE (in caso di separazione) si accolli tutto l'indebitamento (e che il ritorno economico sia garantito).

4)Che i treni dello stato non siano obbligati a tagliare delle tratte ferroviare per poter competere con i servizi e i prezzi di ITALO E MONTEZEMOLO.

MONTEZEMOLO E COMPANY VOGLIONO UTILIZZARE LA RETE FERROVIARIA (COSTATA CARISSIMA) PAGANDO UN CANONE DI UTILIZZO BASSO, RIDUCENDO POTENZIALI PROFITTI PUBBLICI CHE potrebbero ESSERE UTILIZZATI PER MIGLIORARE L'INFRASTRUTTURA STESSA.
D:"OGGI LE FFSS NON FANNO PROFITTI, COME SI PUO' PENSARE CHE ITALO DI MONTEZEMOLO LI POSSA FARE???"

WP:SEMPLICE, VIAGGIANDO SULLE ROTTE PIU' RICCHE FACENDO CONCORRENZA AI TRENI DELLO STATO, I QUALI SI VEDONO UN CONCORRENTE CHE GLI PORTA VIA I MARGINI NEL PRODOTTO CASH COW...E LI METTE IN MERDA SUL RESTO DELLA RETE ..

LE FFSS, IL LORO SERVIZIO E MILIONI DI VIAGGIATORI, VENGONO PENALIZZATI PER FAVORIRE
GLI INTERESSI ECONOMICI DI UNO SPARUTO NUMERO DI IMPRENDITORI CAPEGGIATI DA MONTEZEMOLO


Moretti, OTTIMO DIRIGENTE DELLE FERROVIE, sta battendosi per una battaglia già persa in partenza: LA LOTTA IMPARI CONTRO IL CAPITALISMO PASSIVO CHE SFRUTTA POSIZIONI DOMINANTI E AMICIZIE POLITICHE E GIORNALISTICHE DI MONTEZEMOLO E DELLA VALLE PER GUADAGNARE DEI SOLDI SFRUTTANDO IL SISTEMA PUBBLICO!!!


 WINE PARTY applaude il lavoro di Moretti e condanna pesantemente MONTEZEMOLO, DELLA VALLE e il treno ITALO!!!

Moretti, in questa lotta impari contro potere economico e politico è destinato a perdere, ma lui, piuttosto che dire YES combatte, e lo fa in nome di una cosa sola: LA RES PUBLICA....la cosa pubblica.....un bene che è di tutti e che per essere valorizzato non deve essere soggetto a interventi di privati che SPOSANO DA SEMPRE LA POLITICA DELL'ARRAFFA ARRAFFA



MONTEZEMOLO E' IN POLITICA SOLO PER PURI INTERESSI PRIVATI!!! RICORDATEVELO!

venerdì 12 novembre 2010

Cultura d'impresa al femminile. L'impresa con una marcia in più


Per avviare un'impresa non è sufficiente avere un'idea brillante.

Essere "imprenditrici" significa dimostrare la capacità d'individuare il proprio spazio nel mercato, saper riconoscere i propri punti di forza e di debolezza, avere la capacità di costruirsi un'immagine competitiva.

In controtendenza col dato di una tendenziale forte crescita del numero di donne imprenditrici relativo agli altri Paesi europei, l'Italia si mantiene il Paese con il più basso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro.

E' necessario dunque promuovere, attraverso provvedimenti normativi, tutto un insieme di cosiddette "Azioni positive": strategiche, mirate cioè a produrre un mutamento effettivo, immediato e percepibile; di sensibilizzazione, attraverso attività formative e d'informazione volte a diffondere la politica di promozione della figura e del ruolo femminile; di natura promozionale, cioè volte al superamento di posizioni di svantaggio delle donne nel mondo del lavoro.

Peculiarità dell'imprenditore donna saranno tutta una serie di caratteristiche, quali il desiderio di realizzare qualcosa con le sole proprie forze, il bisogno di autonomia, la creatività, la capacità di leadership, la predilezione di attività che assicurino risultati tangibili.

L'imprenditrice Donna è un imprenditore con una marcia in più, ovvero un esempio di imprenditorialità capace, competente, ma anche dotato di:


- sensibilità: l'arte di mettersi nei panni degli altri, con il fine di comprenderne aspettative e bisogni


- autoanalisi creativa: il dono di fare e farsi le domande giuste per scoprire vantaggi ed altri punti di forza, che altri ignorano o non vedono


- versatilità: la capacità di prevedere il cambiamento ed il sapervisi adattare


- visione futuristica: la capacità di anticipare quel che sarà, perno di tutte le abilità, in grado di legare strategie e cultura


- concentrazione: abilità nel focalizzare la propria attenzione, per realizzare il cambiamento e generare competenza


- pazienza: la necessaria perseveranza indispensabile nel prendere le decisioni adeguate



"...Pensavo che l'imprenditorialità riguardasse solo il modo di condurre gli affari, ma dopo diciassette anni in cui ho avuto modo di osservare gli imprenditori, ascoltare le loro storie, guardare i loro sogni materializzarsi, comprendo che riguarda il modo di pensare, le modalità in cui vengono prese le decisioni migliori, dove l'intento spesso deve superare l'analisi razionale...."


Gregory K. Ericksen - Vice Presidente Crescita strategica dei mercati globali Ernst & Young



SIAMO DONNE, OLTRE LE GAMBE C'E' DI PIU'.......
http://www.youtube.com/watch?v=JzRmbFfTiXU

WINETT SICILIA 2011. Un ponte economico di sviluppo tra le due capitali del mediterraneo











Il mercato internazionale del vino scopre il "fenomeno SICILIA".

Un bilancio più che positivo per le ventuno aziende nostrane, di grandi e piccoli dimensioni, presenti alla manifestazione svoltasi a Venezia in una tre giorni ricca di eventi (dal 2 al 4 novembre), durante la quale le aziende hanno dimostrato di saper fare squadra, proponendo in modo unitario l'enologia regionale.

Dagli Stati Uniti al Giappone, dal Canada alla Cina, gli importatori di vino di tutto il mondo cercano la Sicilia.

Un'opportunità per mettere le nostre aziende in condizione di competere nel mercato internazionale. Per questa ragione l'Istituto Regionale della Vite e del Vino, nella persona del suo nuovo Dirigente, Dario Cartabellotta, sta mettendo a punto un nuovo progetto, che porterà nel 2011 WINETT a Palermo.

WINETT, nella sua applicazione regionale, non si limiterà ad un momento di incontro tra aziende vinicole ed importatori, ma darà a questi ultimi la possibilità di conoscere il territorio, la varietà dei suoi climi e suoli, tale da rappresentare i cinque continenti in una sola regione, approfondendo un aspetto importante, quale l'imbottigliamento.

L'ECONOMIST in agosto ha realizzato un rapporto sul settore vitivinicolo, affermando che la Sicilia all'estero è percepita come la quarta regione importante, mentre prima c'erano solo Piemonte, Toscana e Veneto, e che essa rappresenta l'unica vera realtà di prospettiva.
L'Istituto Regionale della Vite e del Vino è impegnato in Ricerca ed innovazione, certificazione dei vini di orgine, nel marketing e nella comunicazione.

Negli ultimi anni, dal 1994 ad oggi, la regione Sicilia ha investito un miliardo di euro nel settore vitivinicolo; ha riconvertito 35 mila ettari per la produzione di uva, con vigneti autoctoni o meno. Si è passati dalle "navi del vino" e le "cantine sociali" all'imprenditoria.

C'è ancora molto da fare: ben 15 mila ettari sono rimasti fuoridall'imbottigliamento, è prodotto sfuso, un vero spreco!


"LA SFIDA"
Il confronto e la sintesi di due realtà, quella francese e quella australiana.
I francesi hanno vini di qualità, ma prezzi alti; gli australiani hanno una qualità modesta e prezzi molto bassi.

Il futuro è della Sicilia. Puntando sulla territorialità si hanno le carte in regola per ottenere un prodotto qualitativamente superiore e competitivo in termini di mercato.

giovedì 11 novembre 2010

"L'ARTE DEL TASSARE"



Fu Jean Baptiste Colbert (1619-1683), ministro Capo del Re Sole, a dire che


"l'arte del tassare consiste nello strappare ad un'anatra il massimo numero di penne con il minimo di sibilli".


Colbert ebbe solo il merito di dire apertamente quel che faceva, giacchè a farlo vi erano stati i baroni predoni dei secoli anteriori, che confiscavano gli utili dei mercanti di passaggio con lo stesso criterio di massimizzazione e minimizzazione della voglia del mercante di restarsene a casa o di cambiare strada. Di Colbert sappiamo che riuscì a sviluppare ogni aspetto della vita nazionale, ma che morì odiato dal popolo, amaramente deluso dalle tasse opprimenti. Nonostante ciò gli economisti moderni sono colbertiani fino all'osso.


"E' possibile una tassazione che risponda a criteri di giustizia?"


Nei trattati di economia la questione non si pone neanche. Si dà per scontato che l'unica differenza tra Colbert ed i predoni fosse che lui rubava legalmente e loro no.

Anche il pirata catturato da Cesare lo affermava: "Io lo faccio con un piccolo naviglio e mi chiami pirata. Tu lo fai con vascelli da guerra e ti fai chiamare imperatore".


Ne segue che lo Stato moderno non governa più........governicchia! intromettendosi in questioni che dovrebbero riguardarlo solo sussidiariamente, ma che invece lo tengono occupato a tempo pieno, e per finanziare le quali non ha altra uscita che tassare, o meglio, tartassare, il valore aggiunto dallo sforzo di chi lavora.


Ciò lo si chiama "governance", ben sapendo che "governo" è un'altra cosa.

Verso una moderna "WELFARE SOCIETY"




Deburocratizzazione, Semplificazione, Deregolamentazione, Liberalizzazione.





In una parola "FLEXURITY"





L'analisi che andrebbe affrontata, su quale sia il "welfare" più adatto per le generazioni future, rischia di giungere in clamoroso ritardo, a causa della velocità dei tempi, e dei mutamenti delle situazioni umane. Il fulcro della questione è però un altro, ovvero credere che si possa passare dal "Welfare State" ad una moderna "Welfare Society", fondata su semplici e solide colonne portanti, quali la libertà di scelta, la responsabilità personale, il solidarismo familiare e comunitario.


Gli investitori esteri trovano difficoltoso creare economia nel nostro Paese.

Regole eccessive, burocrazia ai limiti, complessità del quadro normativo in materia di lavoro: tutti ostacoli allo sviluppo del mercato. Ineludibile appare dunque il cammino verso la semplificazione burocratica. Sulla considerazione poi che ciascuna azienda, oggi, deve essere capace di modellarsi alle esigenze del momento, e del mercato su cui opera, WINE PARTY ritiene indispensabile una riforma dei contratti, che dovrà necessariamente spostare il baricentro verso le singole aziende, che potranno essere più capaci di far rispondere il lavoro dei dipendenti alle mutevoli necessità del mercato. Aziende che non calibrano, di volta in volta, la propria struttura alle richieste del mondo esterno rispetto allo stretto perimetro delle proprie mura, sono infatti aziende ormai destinate a chiudere, o a mettere importanti fasce della propria forza lavoro in mobilità o in cassa integrazione.


Deburocratizzazione e Semplificazione, ovvero un processo equilibrato e responsabile di Deregolamentazione, che, partendo dall'applicazione delle teorie di Ludwig von Mises, si affianchi ad un iter di liberalizzazione del mercato, che porti ad un maggior livello di concorrenza, conseguentemente a maggior produttività ed efficienza.


"Flexurity", ovvero "Flessibilità e Sicurezza"


Uno Stato meno invadente, che garantisca comunque la "Security", tramite la formazione e l'aggiornamento dei lavoratori, soprattutto di coloro a rischio-posto.


I libertari raccolgano la sfida !