perchè WINE PARTY...?!

sabato 3 settembre 2011

Pareggio di bilancio che sia una cosa seria

 
a Invia una e-mail ai Presidenti di Commissione. Non sprechiamo un’altra occasione!
Per restituire fiducia ai mercati, il Governo ha annunciato una modifica della Costituzione, che sancisca l’obbligo del pareggio di bilancio. Le Commissioni parlamentari Affari Costituzionali e Bilancio resteranno al lavoro, nel mese di agosto, per lavorare sul nuovo testo dell’articolo 81.
E’ agli atti una proposta del Presidente dell’Istituto Bruno Leoni, Nicola Rossi, per introdurre una regola di responsabilità fiscale nella Costituzione italiana.
Tutte le proposte possono essere migliorate, ma riteniamo sia importante ricordare ai nostri rappresentanti che non è possibile pensare a una modifica costituzionale seria, se essa non contiene un meccanismo sanzionatorio adeguato (le regole non possono prevedere la loro stessa infrazione) e se non viene messo un limite massimo alla spesa pubblica.
Per questo invitiamo tutti a inviare il seguente messaggio al Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Donato Bruno (bruno_d@camera.it), al Presidente della Commissione Bilancio della Camera Giancarlo Giorgetti (giorgetti_g@camera.it), al Presidente della Commissione Affari Costituzionale del Senato Carlo Vizzini (vizzini_c@posta.senato.it, carlovizzini@carlovizzini.it) e al Presidente della Commissione Bilancio del Senato Antonio Azzollini (azzollini_a@posta.senato.it).
Gli indirizzi e-mail sono dunque:
bruno_d@camera.it; giorgetti_g@camera.it; vizzini_c@posta.senato.it; carlovizzini@carlovizzini.it; azzollini_a@posta.senato.it. Chiediamo cortesemente di tenere in copia l’Istituto Bruno Leoni: info@brunoleoni.it.
Questo il testo del messaggio che consigliamo di inviare:
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On. Presidenti,
il Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, ha riferito alle Commissioni da voi presiedute sulla riforma dell’art. 81 della Costituzione e l’introduzione del pareggio di bilancio. E’ importante che l’introduzione di una regola fiscale in Costituzione segua ora un percorso spedito ma soprattutto appropriato rispetto all’obiettivo di mettere in sicurezza la nostra finanza pubblica.
L’esperienza repubblicana ci ha dimostrato come l’attuale formulazione dell’art. 81 non garantisca la tenuta dei conti pubblici: questa revisione costituzionale è dunque appropriata e opportuna, anche per dare fiducia ai mercati in una situazione tesa come l’attuale.
Perché possa essere efficace, la regola della responsabilità fiscale deve essere flessibile senza che possa venire vanificata.
In particolare, auspichiamo che le onorevoli SS.VV. possano realizzare un testo di modifica costituzionale che contempli:
- la previsione di una maggioranza qualificata per l’approvazione di deroghe al pareggio, nel caso in cui si debbano fronteggiare situazioni eccezionali.
- l’introduzione del pareggio di bilancio con la fissazione di un limite percentuale al rapporto tra spesa pubblica e PIL – in modo da rendere più efficace il vincolo del pareggio.
L’occasione storica di questa modifica costituzionale non deve essere perduta
 
[Nome e cognome]
[Comune di residenza]
 
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Questo è un momento particolare e complesso nella storia del nostro Paese. Facciamo sentire la nostra voce, per non perdere un’altra opportunità per restituire alla società italiana libertà e certezza del diritto.

mercoledì 24 agosto 2011

Qualcuno QUI dà i numeri


Quando un politico, un amministratore, il portavoce di un ente di grande rilevanza pubblica si deve rivolgere alla vasta platea potenziale dei propri “azionisti di riferimento” (gli elettori, gli amministrati, gli utenti di un servizio) per vantare ciò che ha fatto o, viceversa, per discolparsi di ciò che non avrebbe fatto – secondo i suoi avversari –, è facile che prima o poi ricorra alla mai troppo abusata retorica dei numeri. Questa millenaria arma può però mostrarsi a doppio taglio.

Al 31/12/2010 in Sicilia:
- 13.528 Lavoratori a tempo indeterminato
- 7.114 esterni, a tempo determinato
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tot. 20.642

Se ad essi si sommano gli LSU, gli ex PIP, i Lavoratori a Progetto, i Forestali ed i dipendenti delle ASL, si arriva a quota 144.142, ovvero 1 dipendente regionale ogni 239 abitanti.

Parola di "Onorevole"

La "Res Publica" SICILIA grava sulle tasche del cittadino per 171 milioni di Euro l'anno, un quarto della somma per stipendi ed indennità degli Onorevoli, tra cui figura anche un'indennità forfettaria che varia dai millecinquecento ai settemila euro mensili per spese viaggi a titolo di "aggiornamento politico e culturale"e riservata agli ex deputati regionali, che viene concesso soltanto a quelli non hanno diritto alla pensione, una specie di "sussidio di sussistenza"riservato ad ex presidenti di commissione antimafia, segretari nazionali di partiti, segretari regionali di partito, di maggioranza e di opposizione, senza alcun obbligo di nota spese.

La paura fa "90" verrebbe da dire!!!

E' proprio così!-------- NOVANTA, come il numero dei deputati regionali. Un numero pesante se confrontato all'attività, di certo non massacrante, prodotta a giustificazione di un simile investimento. Nel 2010 la Regione Sicilia ha approvato solo 23 leggi. Nel 2009 aveva addirittura quasi doppiato il record negativo, con sole 12 leggi all'attivo. Se si considera lo stipendio netto di ogni "onorevole", pari a 18.000 euro netti al mese___ escluse ovviamente le indennità che fioriscono per incarichi di presidenti, vicepresidenti, questori, segretari e quant'altro___ queste cifre, assai deludenti, lasciano l'amaro in bocca.

Se pensavate che fare la cresta sulla spesa fosse prerogativa di qualche casalinga disperata vi sbagliavate di grosso. Gli onorevoli, anzichè sui pomodori, fanno la cresta sul carburante. Il libro carburante ha messo inevitabilmente il dito nella piaga; a fronte di un milione di Euro di spesa carburante infatti, come esempio, venivano percorsi 100.000 Km; per l'esattezza, dai conteggi effettuati, su lodevole iniziativa del Presidente del Parlamento siciliano, On.Cascio, è saltata fuori una proporzione scandalosa: 300 metri/litro. Che dire? Solo nel 2010 i "tagli" al carburante hanno consentito un risparmio di 400.000 Euro


Nella terra dei paradossi, che nutre un dipendente regionale ogni 239 abitanti, che conta 3000 dirigenze di contro alla regione Lombardia, che ne stima solo 112, a fronte del doppio della popolazione, chissà se, in preda ad una auspicata crisi di coscienza, qualche deputato si trasformi nel Vitangelo Moscarda pirandelliano ed impazzisca.......

Al momento l'unico PAZZO pare sia l'On. Cascio, Presidente del Parlamento isolano, così almeno lo hanno indicato i benpensanti e rispettabili colleghi, eletti dal popolo siciliano, di fronte alla proposta di ridurre il numero dei deputati di sole 10 unità.

Concludiamo questo breve viaggio dell'horror con una citazione che non poteva mancare, ovvero la replica all'On.Cascio, da parte dei colleghi "eletti"


"..perchè non rinuncia allo stipendio LUI, al posto di rompere il cazzo a noi!??"- Parola di Onorevole

sabato 20 agosto 2011

Proposte SENZA SENSO contro il SUD!

Si vuole qui parlare del Sud, del Sud per l’ennesima volta dimenticato come priorità di crescita nazionale.  Ma c’è una premessa obbligatoria . Purtroppo, la disastrosa giornata di ieri sui mercati europei e americani dimostra l’esatto opposto di quanto ripetono i politici. A loro giudizio è la globalizzazione a essere colpevole, e occorre mettere la mordacchia ai mercati. Di fatto, è vero l’opposto. Semplicemente, i politici dei Paesi avanzati mostrano mese dopo mese di non avere la minima idea delle conseguenze di ciò che dicono in un’economia globalizzata, e di ciò che non fanno. E i mercati reagiscono nell’unico modo in cui chi non capisce e e chi non è d’accordo sanziona chi tenta di metterti sotto: lo puniscono duramente.
Verrebbe da dire che c’è un mezzo gaudio, nel constatare che mentre la Borsa di Milano perde il 6,6% con le banche nuovamente a picco, anche Francoforte e Parigi perdono il 5%, anche Londra e Wall Street perdono oltre il 4%. In realtà, c’è da aver semplicemente paura. Perché o la politica cambia marcia, a Washington, a Berlino e a Parigi, oppure diventerà presto drammaticamente vero ciò che ieri per la prima volta ha previsto Morgan Stanley, e cioè che il mondo avanzato a 3 anni di distanza dal crac Lehman Brothers si avvia a riprecipitare nella recessione.
Se la politica dei Paesi avanzati crede di andare avanti con debiti pubblici esplosi, dovrebbe rassicurare i mercati della loro sostenibilità attraverso credibili piani di rientro, commisurati a far crescere anche chi è in difficoltà, e con misure e riforme finanziarie condivise tra America e Stati Uniti. Se invece Sarkozy e la Merkel propongono una tassa sulle transazioni finanziarie, e Obama reagisce al downgrading del debito americano facendo aprire inchieste alla Sec contro le banche europee che si finanziano in America, l’unica cosa che i mercati capiscono è che i politici hanno perso la trebisonda. E allora i mercati crollano. Perché l’America dovrebbe cambiare tono e tagliare il proprio eccesso di spesa pubblica senza più credere che il dollaro come valuta mondiale la renda intoccabile. Al contempo, la Merkel dovrebbe capire che la linea sin qui seguita di far andare in deflazione i Paesi eurodeboli è partita da premesse e meriti giusti e condivisibili, ma è stata condotta in una maniera sbagliata, perché anche la Germania si sta piantando. Sarkozy dovrebbe capire che le tasse contro la finanza, in un momento di politica priva di credibilità, mandano solo le banche e il risparmio a tappeto.
Ma non è finita qui. E vengo al Mezzogiorno. Ieri, mi sono letteralmente indignato. Non c’è solo l’irrealistica Tobin Tax contro i mercati proposta da Parigi e Berlino, ad aver provocato il collasso dei mercati. La picchiata è avvenuta anche per un’altra proposta franco-tedesca, ancor più demenziale a mio giudizio. E’ stata la Süddeutsche Zeitung l’altro ieri a rivelarla. Preferivo pensare fosse una bufala, ma le cancellerie dei due Paesi euroleader non l’hanno smentita. Di conseguenza, i mercati sono esplosi.
Di che cosa si tratta? Di diminuire o sospendere i fondi strutturali europei ai Paesi che non siano virtuosi sul bilancio. Io da anni scrivo, propongo e mi batto perché in Costituzione approviamo anche in Italia una misura del tutto analoga a quella prevista nella Legge Fondamentale germanica, e cioè l’azzeramento del deficit pubblico. E aggiungo che vorrei un tetto al prelievo fiscale su persone e famiglie votato ogni anno dal Parlamento, come in Germania. Dunque non sono sospettabile di comprensione alla scarsa virtù. Ma sospendere i fondi strutturali a chi è in difficoltà è una cretinata in termini economici da lasciare senza fiato. Persino per chi, come me, critica sempre l’euroillusione di aver adottato una moneta unica in mercati che restano separati e con curve di costo diverse. Perché i fondi strutturali, coevi all’idea stessa di Unione Europea, nascono e si sono nel tempo evoluti per sostenere lo sforzo di convergenza a favore di chi aveva ereditato economie meno avanzate ed efficienti, ponendo come obiettivo la media europea dei redditi delle popolazioni come criterio per dosarli a favore di chi ne era più distante. La politica economica è fatta – almeno per chi ne ha una minima idea – proprio di misure che distinguono le correzioni anche energiche di breve termine dalla necessità di sostenere la convergenza verso l’alto a medio e lungo termine. Minacciare il venire meno dei fondi significa dire che l’Unione europea non c’è più, perché le popolazioni che si trovano a pagare il maggior costo del loro mancato sviluppo vengono private anche della possibilità di realizzarlo, sia pure in ritardo e a costo di sacrifici, grazie al sostegno europeo. E non perché a Berlino e Parigi siano tenuti alla carità cristiana. Ma perché sini qui almeno a parole è interesse comune dell’Europa che tutti producano, consumino, guadagnino e risparmino di più.
Per questo avrei voluto ieri che uno statista italiani, sentiti i governi di tutti i Paesi europei alle prese con difficoltà di ordine diverso, dalla Grecia alla Spagna, dal Portogallo all’Irlanda e via continuando, dichiarasse immediatamente che questa proposta franco-tedesca sbagliata e assolutamente da ritirare. Non perché sarebbe solo il Mezzogiono italiano, a essere colpito in maniera sanguinosa nelle sue possibilità di riscatto dalla ghigliottina ai fondi destinatigli per il sessennio 2014-2020, di cui l’anno prossimo si discuterà a Bruxelles e nei Consigli europei. Ma perché l’idea stessa di Europa, verrebbe meno.
Purtroppo, il governo italiano ieri non ha levato la sua voce. E’ un errore grave. Non è così, che si riacquista credibilità per le decine e decine di miliardi di euro che ancora non abbiamo speso, per incapacità delle macchine amministrative regionali e centrali, dei fondi assegnatici negli anni 207-2013. Non è così, che si ridiventa virtuosi agli occhi degli altri governi e dei mercati. Anzi, non averlo fatto spiega perché il Sud e la sua crescita – questione nazionale perché senza ripresa e occupazione giovanile e femminile al Sud non c’è ripresa del Paese – mancano clamorosamente di essere presenti come priorità nella manovra bis appena varata dal governo. Su chi si abbatterebbe la scure degli accorpamenti di Comuni piccoli, se non al Sud per la diversa storia locale che ha portato a unità amministrative più piccole e col tempo più spopolate? Dove si concentrano, il più delle società partecipate e controllate dalle Autonomie locali da dismettere per ragioni di efficienza, se non nel Mezzogiorno? Molti di voi diranno: colpa del Sud, e anzi finalmente si inizia ad affondare il coltello. E’ vero a metà: se non si adottano al contempoincentivi perché il Sud  possaacrescere occupazione e sviluppo,  Usemplicemente si compiace l’idea dei politici locali che esso abbia più bisogno di assistenzialismo.
Umberto Bossi l’ha detto e ripetuto, in questi giorni. Se il governo non mette mano a una correzione dei tetti di età pensionabile per anzianità e vecchiaia, è per continuare a far andare prima in pensione i lavoratori del Nord, entrati nel mercato del lavoro molto prima di quelli meridionali, che comunque ci riescono in percentuali molto più basse. Terremo duro e comunque se l’Italia andrà in pezzi meglio per noi, ha aggiunto Bossi, che non parlava così da anni. Sia detto senza offesa per nessuno, ma è lo stesso ragionamento che su più vasta scala e con ben altri titoli sta facendola Merkel a nome della Germania “forte”. Apparentemente sembrano ragioni forti. Invece, bisogna avere fegato e intelligenza per dire la verità: sono fesserie. Perché più divisi siamo, più divisi in Europa come più divisi in Italia, più deboli siamo tutti nel mondo della crescita e del risparmio a guida cinese e indiana.
Alcuni di noi – lo so bene – sono in realtà convinti da sempe che meglio divisi che uniti nell’errore.: tanto tra Nord e Sud d’Europa, che tra Nord e Sud d’Italia.  Ma la cosa stupefacente è che a dare una mano potente a questa divisione siano politici che dicono, in Europa come a Roma, di volere l’esatto opposto.

sabato 19 febbraio 2011

Per crescere di più, aiutare ad aiutarsi chi fa di più: 2) le “medie” che esportano, il Sud un disastro

 di OSCAR GIANNINO
Ieri tre notizie sul fronte dell’economia. La prima, annunciata in una conferenza stampa congiunta del governo con banche e associazioni d’impresa, è la protrazione della moratoria bancaria per le aziende. La seconda la conferma da parte del ministro dell’Economia che, al di là dei primi deludenti provvedimenti messi allo studio nel Consiglio dei ministri della settimana scorsa, si mette mano alle misure che formeranno il piano nazionale di riforme che ad aprile dovrà essere presentato dall’Italia in sede europea, per costituire banco di giudizio della nostra affidabilità insieme alla tenuta dei conti pubblici. La terza è che Giulio Tremonti ha detto a fianco di Silvio Berlusocni che anche a suo giudizio per la crescita occorre fare di più, dopo che nei due anni alle nostre spalle l’Europa e i mercati mondiali hanno dovuto riconoscere l’abilità sua e del governo nel tenere sotto controllo il deficit aggiuntivo molto più rigorosamente di quanto avvenisse da parte del più dei Paesi avanzati. E’ una risposta a chi ha immaginato o scritto che il ministro dell’Economia anteponesse considerazioni politiche alla priorità dello sviluppo. Vedere per credere. Ma perché non ammettere che sappiamo benissimo tutti, che per crescere di più bisognerebbe aiutare ad aiutarsi chi già fa meglio e di più? La risposta è: nel dirlo, si commette un delitto rispetto alla logica egualitaria, quella che ripete sempre che gli interventi devono pensare innanzitutto al Sud. So che è tosto affermarlo, ma i fatti sono i fatti. Il gap meridionale chiede una rivoluzione civile e amministrativa di lungo percorso e incerti risultati – è fallita in 150 anni – la crescita aggiuntiva a breve si ottiene puntando su altro.Due parole ancora su Tremonti. Ieri non ha perso l’occasione per “abbellire” la bassa crescita italiana.  Ha messo in guardia da una lettura comparata della crescita italiana che non tenga conto del fatto che, in alcuni casi, altri Paesi hanno ottenuti risultati migliori ma grazie alle bolle mobiliari o immobiliari di cui hanno finito poi per pagare il conto loro, estendendolo anche all’intera Europa. Ha ragione, il superministro dell’Economia? Secondo me solo in parte. Al netto delle basse tasse che hannio spinto le econoie e che restano un bene per me, e non un bene per il ministro – una differenza nopn da poco, in termini di idea generale di che cosa lo Stato debba o non dbba fare, per la crescita , rispetto al mercato e alle imprese – è sicuramente questo il caso della Spagna o dell’Irlanda. Ed è anche vero che nel 2010 e 2011 la Francia cresce più dell’Italia ma con un deficit pubblico superiore del 50% al nostro, superiore al 75 del Pil rispetto al 5%. Ma non è questo il caso della Germania, il leader dell’euroarea che è ai record di crescita come di occupazione dai tempi della riunificazione, grazie a due scelte concomitanti. Grande rigore nella finanza pubblica, perché ha posto in Costituzione limiti tanto al deficit pubblico che alla pressione fiscale, e questo le ha consentito di riallocare il welfare con meno spesa pubblica laddove esso serviva di più al contempo abbassando le tasse. E’ vero altresì come ha detto Tremonti che la Germania resta il grande Paese dell’euroarea con il maggior problema di attivi bancari poco affidabili, da parte delle grandi banche regionali pubbliche che si erano spinte molto in avanti nella finanza ad alta leva. Ed è giusto per questo che nel grande patto europeo di cui si discute in queste settimane, e che si chiuderà entro aprile, non pesino solo il deficit e il debito pubblico ma altresì il debito totale di famiglie e imprese, e la solidità patrimoniale dei rispettivi sistemi bancari, visto che i salvataggi dell’eurodebito sono stati sin qui innanzitutto ancora una volta salvataggi delle banche tedesche e francesi, piene di titoli pubblici greci, irlandesi e spagnoli (i nostri più grandi creditori pubblici sono i francesi, secondo le stime della BRI di qualche mese fa). ma è anche vero che nessuno di questi argomenti sfiora il punto vero di fondo, secodno me, della bassa crescita italiana. Che presiste alla crisi, e non si deve al fatto che virtuosamente avremmo evitato bolle. Per dirne una, abbiamo il sistema bancario meno instabile tra grandi paersi europei, ma ne abbiamo pagato un ben caro prezzo, in termini di spread aggiuntivi a parità di unità di capitale intermediate a imprese e famiglie. E non si è trattato – e non sin tratta – di spread a copertura di una più bassa soglia di rischio di controparte, bensì di premi all’inefficienza del sistema bancario (restiamo per esempio l’unico grande sistema dl credito che esce dalla crisi senza grandi ristrutturazioni industruiali e di addetti e occupati, e che cosa pensi dell’industria dell’asset management l’ho scritto pochi giorni fa a proposito del caso Eurizon-Pioneer: su cui la grande stampa continua a dormire, evidentemente d’accordo con tremonti sull fatto che viene prima l’esigenza di avere un grande compratore nazionale di titoli del debito pubblico, che un’industria del risparmio gestito efficiente per il risparmiatore. Per me vale l’esatto opposto).
Purtroppo il problema della bassa crescita italiana è una costante da diversi anni. Crescevamo meno dei Paesi avanzati prima della crisi, usciamo dalla grande recessione con lo stesso guaio. Fatto pari a 100 il Pil italiano nel 2001 e quello dei paesi avanzati Ocse, quello italiano nel 2007 era solo arrivato a 103,5. Quello OCSE a 113,5. A metà 2009, il punto più grave della crisi mondiale, il nostro Pil era sceso a 97, quello medio OCSE a 111. Se cresciamo dell’1% nel 2011 come nel 2010, a fine di quest’anno il nostro PIL sarà tornato poco sopra il 100 del 2001. Quello OCSE sarà a quota 116.
Sappiamo ormai molto bene, grazie a studi come quelli dell’Ufficio Studi e Ricerche di Mediobanca guidatro da Fulvio Coltorti e della Fondazione Edison del professor Fortis, quali sono le imprese che sostengono meglio l’economia italiana. Se consideriamo il valore aggiunto, il metro per salire nella graduatoria di competitività dei prodotti per un Paese che dipende al 70% della sua crescita a breve dall’export manifatturiero, sono le meno di 10mila imprese medie del quarto capitalismo italiano, quelle che hanno fatto e fanno meglio. Il loro valore aggiunto, da 100 nel 2001 era a 127 nel 2007, è sceso a 112 a metà 2009 e ora è risalito a 117. Molto meglio dei grandi gruppi privati italiani, che da quota 100 erano solo a 106 nel 2007, e che ancor oggi restano a quota 90. Idem dicasi per le esportazioni. Le medie imprese internazionalizzate hanno innalzato il loro export da 100 nel 2001 a quasi 160 nel 2008, sono scese a 135 nel 2009 e ora sono tornare a quota 145. I grandi gruppi sono passati da 100 nel 2001 a 132 nel 2008, per poi scendere a 111 nel 2009 e risalire ora a quota 120.
So bene che errate convinzioni egualitarie vorrebbero che incentivi e politica andassero a chi se la cava peggio, invece che a chi va meglio. Ma è dando una mano proprio ai settori e alle tipologie d’imprese che creano il più dell’export e della crescita aggiuntiva, che noi ci possiamo mettere in condizioni di aggiungere crescita a breve al nostro Paese, occupati e reddito. Ricordando bene un’alta particolarità: siamo il Paese avanzato in cui le piccole imprese non sono solo enormemente più diffuse, ma che già oggi e anche nella crisi hanno mostrato una vitalità nell’export e nell’internazionalizzazione senza pari. Il 21% del nostro export viene dalla piccola, il doppio esatto di quanto capiti in Francia e quattro volte ciò che avviene in Germania. Le piccole hanno bisogno di più capitale e di migliori manager e formazione per crescere, oltre che di meno tasse visto che il sistema per come è congegnato fa gravare su di loro un prelievo sul reddito lordo anche di 30 punti superiore a quello dei grandi gruppi.
C’è poi il problema del Sud, che realizza solo il 7% dell’export italiano. Che non ha saputo mettere a frutto oltre 400 miliardi pubblici spesi in 4 decenni. E che non si fida del federalismo in corso di esame. E’ il capitolo sul quale occorrono non più risorse, ma più discontinuità di procedure – per decidere siti e far lavorare i cantieri delle infrastrutture – e soprattutto di responsabilità delle classi dirigenti locali. Non sarebbe male, se il piano nazionale delle riforme che l’Italia presenterà in aprile all’Europa nascesse proprio dalla volontà di rilancio e riscatto, di un’unità che in un secolo e mezzo ha fallito molte delle sue promesse. Se fosse così, dovrebbe puntare soprattutto su chi ha mostrato di saper fare di più. L’egualitarismo non serve, della crescita anzi è nemico.